Una pesca miracolosa.
Per caso sono inciampato su Fb in un post (che non sono più riuscito a trovare) in cui si ricordava la figura di don Bracco, parroco penitente di Fondo, Tallorno e Succinto fino al 1941 anno del suo decesso, che mi ha rimandato indietro con il pensiero alle estati del 1966 - 68. In quegli anni il "bocia danà" frequentava il Seminario Vescovile di Via Warmondo Arborio in quel di Ivrea. Durante l'estate, nelle vacanze scolastiche e dopo il periodo di "colonia" in quel bellissimo posto del Santuario di Prascundù, incominciava la piacevolissima corvé in quel della Valchiusella. Il venerdì verso sera, a partire da fine Agosto e fino a Fine settembre, don Primo Ceresa (oltre che professore di matematica al ginnasio del seminario era il parroco di Fondo) arrivava a Romano in via S. Maria n. 7 con la Fulvia HF coupè e, stivati armi e bagagli, prelevava il "pargolo" per proseguire fino alla borgata di Fondo in Valchiusella. Il "don" era un prete, per quei tempi, già arbiciolù, sportivo e di più larghe vedute (siamo nel '68!) rispetto alla maggior parte dell'altra classe sacerdotale. Era amante della guida sportiva e per il piacere personale e del "bocia" si sbizzarriva a percorrere le strade strette e tortuose della Valchiusella di all'ora: la vettura arrivava a Chiara di Traversella in un’oretta circa (Fondo non era più comune). Qui la brillante corsa finiva, in quanto la strada non andava oltre per cui, dopo aver parcheggiato la macchina in prossimità del negozio-bar ivi esistente, con zaino in spalla e scarponi ai piedi, bisognava imboccare il ponte a sinistra che attraversa il torrente e proseguire per la mulattiera in sponda sinistra fino alla borgata del paesello. Arrivati in prossimità della canonica che era già praticamente buio, don Primo e il gagno, scaricati gli zaini e dopo aver dato il segnale di campana che annunciava l'arrivo del parroco, raggiungevano la piccola Chiesa posta in prossimità (già aperta preventivamente da donne del posto). Qui, in un suggestivo e raccolto ambiente illuminato dal solo lume delle candele (la corrente elettrica non c'era ancora!), iniziava la recita del rosario a cui partecipavano tutti i residenti, bambini compresi. Impartita la benedizione finale e apprestati gli arredi liturgici necessari alle funzioni religiose dei giorni successivi, il parroco incontrava la gente della borgata e scambiava con loro le notizie e gli avvenimenti successi nella settimana appena trascorsa. Il ritorno in canonica, un fabbricato in pietra a due piani circondato da un muretto che conteneva l'orto e a cui era addossato il campanile, avveniva con l'ausilio di una torcia a batteria: bisognava preparare la cena e i letti su cui dormire. Mentre il gagno attizzava il fuoco nella stufa in ghisa, metteva l'acqua a bollire per la pasta e la padella in ferro per riscaldare il sugo e friggere la carne (il resto era già pronto in contenitori predisposti dalle suore dell'ospedale di cui il "don" era fra l'altro anche il cappellano), don Primo tirava fuori le canne e di nascosto e al buio le andava a mettere in posta nel torrente che scorreva vicino alla chiesa. In quell'epoca il tratto di torrente Chiusella compreso fra i duecento metri a valle del ponte e fino alla borgata di Tallorno era riserva di pesca dei biellesi, per cui di trote ce n'erano in abbondanza. Ultimata la cena a lume di candela, prima di andare a dormire i due "bracconieri" andavano a verificare se alle lenze si era attaccato qualche trotella; in caso contrario si lasciavano “a bagno" fino al mattino successivo. Trascorsa la notte, in un sonno profondo e rilassante, alle prime luci dell'alba e a seguito del risveglio iniziavano i preparativi per la "messa prima": suono della campana, apertura della chiesa, preparazione dell'altare, accensione delle candele e svolgimento della funzione liturgica; non prima però di aver verificato se le canne avevano fruttato e averle fatte sparire da occhi indiscreti.
Dopo colazione, zaini in spalle e inizio dell'arrampicata fino alla borgata Tallorno per la celebrazione della "messa delle undici": naturalmente durante la salita le canne (sempre pronte nello zaino) erano sempre in funzione! Il ritorno, dopo un frugale pranzo al sacco, avveniva subito dopo la fine delle funzioni e proseguiva lentamente lungo il torrente a "bottinare" le belle trote iridee ivi immesse dai biellesi: vuoi mettere il piacere del proibito? Spesso lungo il tragitto compariva il guardiapesca che regolarmente veniva intrattenuto da don Primo per una chiacchierata e una fumatina, mentre il "bocia danà" defilato e con nonchalance proseguiva nella rapina ittica. La tecnica di pesca praticata era quella "al tocco" utilizzando come esca dei bei vermoni prelevati dalla "trata" del margher che curava l'orto e forniva il latte per la colazione. Il guardia pesca sapeva benissimo quello che succedeva ma faceva finta di niente e chiudeva un occhio perchè sapeva che il frutto del bracconaggio finiva - per la maggior parte - alle suore dell'ospedale e a fin di bene, ma raccomandando di non essere troppo esagerati!. La domenica, espletate le funzioni religiose (messa prima, messa grande) ed una ulteriore pescatina pomeridiana prima dei vespri (questa volta in maniera lecita con i due buoni da cinque trote (!!!) offerti dai titolari della riserva) veniva intrapresa la via del ritorno in attesa del successivo fine settimana. I giovani di quel tempo si accontentavano di quel "poco"!!!