La vietta del mal partos
In un libricino edito nel 1931 in occasione della commemorazione trecentenaria della "Peste del 1630" e della posa di una croce in regione Palude nel sito dove venne realizzata una fossa comune per l'inumazione dei cadaveri morti a causa della peste, si fa menzione della " vietta del mal partos".
Ma partiamo dall'inizio:
...con la morte del duca Vincenzo II Gonzaga nel 1627 si aprì la successione ai due ducati di Mantova e Casale che diede origine alla seconda guerra per il Monferrato, che fu la causa della peste e di molti altri guai....I freddi dell'inverno la tennero come assopita, ma i caldi dell'estate del 1630 le diedero una virulenza straordinaria....A Romano la notizia pervenne ben presto; e, dopo i primi momenti d'angoscia, d'incertezza, d'esitazione, si decise di correre ai ripari e di lottare anche contro questo insidioso e pericoloso nemico.
Fu deciso di chiudere tutte le case, anche quelle poste fuori delle mura, entro uno stecconato, che sorse in otto giorni di febbrili lavori con due sole porte; una ai piedi di S. Rocco e l'altra di fronte all'attuale molino elettrico, all'imbocco della strada delle Vigne (n.d.a. via Valle); ché allora la grande strada, Aosta - Torino, saliva la Ripa passava davanti alla chiesa di S. Domenico, ora demolita e scomparsa, e s'imboccava appunto nella strada delle Vigne. I Romanesi la sbarrarono davanti a S. Rocco; ne tracciarono un'altra che, costeggiando la Palude, passava al "mal partus" e risaliva la collina per ricongiungersi alla strada delle Vigne.
Ordini severi d'impedire l'entrata a chiunque si fosse e per qualunque motivo venisse. Passassero tutti per la nuova strada e se n'andassero. Proibito a tutti d'uscire dal paese, se non per recarsi al lavoro, nel quale caso dovevano esibire alle sentinelle di guardia alle porte, un permesso scritto, che si chiamava "bulletta". Era comandato di condurre il bestiame al pascolo in una regione sola, detta " 'lcios", forse perchè chiusa ( nda. trattasi delle regioni Canavera e Fause?).
...Terrificanti notizie e sulla guerra e sulla peste continuavano a giungere.
... Un paese vicino aveva costruito tante capanne per lazzaretto, vicino al Chiusella. Tutti i giorni, si ridicevano i nomi di coloro che vi erano portati o condotti; persone, intere famiglie conosciute. Si sapeva che i cadaveri, non trovando chi li seppellisse, eran buttati nel fiume.
...Ma sopra tutto agitava gli animi e riscaldava le fantasie, già sconvolte, la narrazione di storie orrende di untori, che andavan in giro a sterminare scelleratamente la gente. Ungevano con un veleno "composto di rospi, di serpenti, di bava e di materia d'appestati, di peggio, di tutto ciò che selvagge e stravolte fantasie trovar di sozzo e d'atroce".
... Fu deciso allora la costruzione d'un nuovo ostacolo, a dieci trabucchi dallo stecconato (nda. circa trenta metri); lo si formò, come un reticolato, con pali orizzontali. Nel tramezzo furono tese trappole e scavate, diremmo ora, bocche di lupo, perchè gli infami untori si rompessero l'osso del collo, caso mai avessero tentato d'ungere l'assito.
... Intanto la prima metà di agosto era passata e la peste a Romano, grazie alle precauzioni prese non era ancora entrata. ...
... Agli ultimi d'agosto od ai primi di settembre invece c'entrò veramente.
Non ne sappiamo il modo preciso; e varie sono state in proposito le dicerie, che noi, quì, trascriviamo, se non altro per curiosità.
Erano stati, si disse da alcuni, tre birboni del paese, che, per vendetta contro nemici personali e per desiderio di rapina, l'avevan introdotta, sperando di far morir gli altri e salvar se stessi. In prova di ciò, si diceva, che dopo il suono della ritirata o coprifuoco, si vedevano quasi tutte le sere, tre gattoni neri, con gli occhi di fuoco, accovacciati sull'orlo del pozzo dell'attuale asilo infantile. Al mattino, prima dell' Ave Maria, in tre salti raggiungevano " l'abbeveratoio delli cavalli", si tuffavan dentro e sparivano. Erano le anime di quei tre dannati, morti di peste. L' abbeveratoio delli cavalli era posto in fondo all'attuale via General Pavetto.
Altri invece sostenevano, che gli untori o spargitori di polverine erano entrati non visti dalle guardie, non abbastanza vigilanti; anzi da alcuni si affermava, che erano passati "sotto li loro occhi, ben aperti; ma invisibili, appartenendo essi alla razza maledetta degli stregoni".
La voce generale però (e pare anche molto probabile) era che l'avessero introdotta a tradimento i monatti per desiderio di rapina.
... Più di una volta, avevan cercato di penetrare in Romano, uno dei pochi paesi mai stato derubato dalle soldatesche, e che perciò eccitava molto i loro istinti ladreschi; ma i rapidi rintocchi della campana di S. Pietro, li aveva prontamente fugati. In una notte oscura, s'erano cautamente e scelleratamente avvicinati al paese, e, da vari punti, vi avevan lanciato dentro, con fionde, robe infette, intinte nel marciume, e avviluppate a sassi.
Per altra parte, non si può credere, che persone del paese abbiano inconsciamente avvicinato persone infette. Chi usciva aveva l'ordine di fuggire appena vedeva persona sconosciuta avvicinarsi; poteva essere un untore. Non poteva parlare a persona conosciuta, che a tre trabucchi di distanza, portandosi al naso quel tal medicamento; non poteva coltivare i campi, o fermarsi se non a dieci trabucchi oltre la strada; qualche male intenzionato lo avrebbe potuto sorprendere. Abbiamo motivo di credere che questi ordini siano stati rigirosamente osservati, data la tensione degli animi e la vicendevole sorveglianza.
Come pure non si può ammettere che le guardie abbian lasciato entrare persone infette; venivano cambiare ogni quattro ore, al segnale dato dalla campana di S. Pietro e vigilate da pattuglie e capi di ronda. E poi l'intruso sarebbe certamente stato visto da qualcheduno, il quale non avrebbe mancato di darne l'allarme.
Comunque si voglia pensare, sta il fatto, che una mattina si sparge la notizia dell'improvvisa pazzia di certa Maria Ferrarei, giovine di vent'anni, che dopo varie ore di smanie, di pianti disperati, di agitazioni, di discorsi sconnessi, s'abbattè al suolo morta. Nel ricomporre il cadavere, si scopre al fianco destro un sozzo bubbone violaceo. Era la peste e la disgraziata, colta di improvviso delirio era stata creduta pazza. Mentre l'autorità esterefatta discute il caso, giunge notizia di altri ammalati in vari punti del paese. Si corre ed i funesti segni della peste purtroppo appaiono dappertutto. Nella giornata ne muoiono quattro; son portati al cimitero senza onore di sepoltura, senza canto, senza suon di campane, senza accompagnamento. Tutti perdon la testa, eccetto i due parroci, che prontamente organizzano ciò, che potevano organizzare...
I nostri due parroci si cacciano subito in mezzo alla peste. Fan il medico, il farmacista, l'infermiere; incuorano, aiutano, soccorrono. Corrono da una parte all'altra, di giorno, di notte; confessano, amministrano i sacramenti, pregano.
La peste se li portò via in pochi giorni ed ecco il paese privo d'ogni conforto, di ogni guida.
... La mortalità giornaliera raggiunse subito una cifra spaventosa; basta pensare, che in una quindicina di giorni il paese fu completamente spopolato. Non sappiamo quanti furono i morti; i registri non furono più tenuti; sappiamo però, di preciso, che i rimasti vivi furono pochissimi.
Non potendo più portar via i cadaveri, alla sera, un carro faceva il giro del paese, li raccoglieva tutti e li scaricava alla palude in un gran gorgo, da cui usciva un fetore insopportabile.
... sul finire di settembre ed al principio d'ottobre la peste cessò da per tutto, non rimanendo " che qualche resticciolo qua e là quello strascico, che un tal flagello lascia sempre dietro di sè per qualche tempo".
Sul finire d'ottobre la vita era già divenuta normale; già aperte le botteghe, ripresi i traffici, i lavori. Ai 27 di novembre abbiamo già due matrimoni, nello stesso giorno, nella parrocchia di S. Pietro, con la dispensa di due pubblicazioni. La necessità li obbligava a sistemarsi per passare meno male il vicino inverno ...
Tratto dal libricino "La Peste del 1630" cenni storici, edito nel 1931 a cura (forse) della Parrocchia di S. Pietro e S. Solutore e di autore ignoto.