La buà!

La buà! (Il bucato) In ogni casa si effettuava la "buà" almeno due volte all' anno: in primavera ed in autunno. Era una operazione abbastanza complessa che non poteva essere effettuata singolarmente ma da due o più persone (anche non di casa) che si sarebbero aiutate vicendevolmente. Si cominciava per tempo con la cernita della cenere - recuperata dalla stufa o dal focolare - e la preparazione del "bignun d'la buà" ( mastello, di buona capacità in legno o in lamiera zincata, avente uno "spinello" (rubinetto) in prossimità del fondo) posato su un supporto che lo teneva sollevato dal terreno di circa 1/2 mt. per consentire - attraverso lo spinello - il recupero della "liscivia". Veniva utilizzato anche per fare il bagno!!! I "patui" (biancheria da letto e da cucina: "linseuj" (lenzuola), fudrëtte" (federe), trapunte, copriletti, "mantijl" ( tovaglie), "suaman" (asciugamani) - normalmente in tela di canapa - e quanto altro la massaia decideva di lavare ) veniva preventivamente inumidita e sfregata con il sapone fatto in casa, poi messa nel mastello a strati fino a colmarlo. - Il sapone si faceva in casa utilizzando la "sunza" (grasso di maiale) che veniva fuso con l'aggiunta di una quantità di soda caustica in proporzione al peso e da acquistarsi dallo "speziari" (farmacista) e (solo per i più abbienti) con aggiunta di essenze profumate: una volta raggiunta la fusione (ma mai il bollore) veniva succesivamente versato in uno stampo in legno e (una volta freddo e solidificato) e sezionato a forma di cubo (7-8 cm. per lato) e posto al riparo in luogo asciutto e arieggiato. - Contestualmente si metteva sul fuoco il "pareul" (paiolo di circa 50 lt.) per scaldare l' acqua: lo stesso.che si usava per pelare il "purcat" quando lo si macellava oppure lo si prestava a quelli che facevano i "faseui grass" a carnevale. La Pro Loco non esisteva ancora!!! Sulla biancheria, stipata nel bignun, veniva steso uno strofinaccio di canapa ( teijla ad cau-na ) che facesse da filtro allo strato di cenere che ivi veniva distribuita: questa era utilizzata per consentire lo sbiancamento delle stoffe in quanto la cenere, a contatto del sapone e dell'acqua bollente, acquista proprietà caustiche e ammorbidente: " la liscivia". Quando l'acqua aveva raggiunto il bollore la si versava con il "sigilin o sidel o sìja" (che dir si voglia) e con cautela sulla sommità del mastello così preparato, fino a totale inzuppo della "lingeria": a questo punto si apriva lo spinello e si recuperava il percolato che veniva immediatamente riversato sulla sommità del mastello e questo si ripeteva fino a quando la liscivia diventava tiepida ( ciëppa ). Dopo di chè si lasciava raffreddare e poi scolare fino a totale sgocciolamento. Ultimate le operazioni, la biancheria veniva recuperata e riposta in ceste (cavagne) per poterle trasportare al lavatoio comunale (per quelli di Romano a quello del Gurgo) e, in considerazione del peso rilevante che assumeva, venivano appese al manubrio della bicicletta o con la carriola oppure con la "gagliota" (carrettino leggero a mano a due ruote): quando la quantità era rilevante si usava la "baroša" trainata da "na cubbia ad vache". Al lavatoio i "patui" venivano risciacquati a più riprese e quindi ricondotti casa. A casa nostra veniva stesa una "tërsa" (canapo) attraverso il cortile per poter stendere ad asciugare la biancheria: di solito a metà della tesata veniva messa una "crava" (cavalletto) fatta da due pali di legno incrociati al fine di innalzare e spezzare il tiro della stessa. La biancheria, una volta ripiegata e/o riutilizzata, assumeva una morbidezza ed un profumo inconfondibile che ancora oggi "mi ritorna in mente": il profumo della giovinezza! La "buà" (letteralmente "bollitura") pertanto assorbiva tutta la giornata con un notevole dispendio di energie delle donne di casa e al quale "dovevano" partecipare (magari di malavoglia) anche i maschi di casa!!!!

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