L' esodo

L' esodo. Bevadoro di CAMPODORO (PD) 13 novembre 1955, ore 22,30: dopo aver finito di caricare due mucche di razza randenna (di cui una in procinto di partorire) sul rimorchio dell' Esatau di Bruno Gemo e dopo aver salutato Carolina e Guido, mamma Santina con Franco, Dino, Carmela e il bocia danà, vengono fatti salire sulla motrice e nel vuoto lasciato fra il telone centinato ed i materassi si sistemano alla bene e meglio. In cabina oltre a Bruno, salgono Gino Renzi (amico intimo del capo famiglia e Giovanni il figlio maggiore (appositamente rientrato in licenza dal servizio come carabiniere per dare una mano al trasloco). Sulla motrice erano stati sistemati tutti i mobili disponibili (letti, armadi, cassettoni, credenza, tavolo, sedie, materassi, stoviglie, lingerie e masserizie e quanto altro costituisce la dotazione di casa). Nel rimorchio invece trovavano posto gli attrezzi, i sacchi di grano e di meliga, il maiale, la gabbia con le galline, i conigli e la coppia di vacche da latte. Dopo gli ultimi commiati e controlli si parte: destinazione Piemonte. Il viaggio attraverso tutta la pianura padana dura circa otto ore, durante le quali vengono effettuate delle fermate per controllare la vacca che aveva "finito il tempo" per cui poteva partorire in qualsiasi momento. I passeggeri con circospezione ne usufruivano per sgranchirsi le gambe (era vietato il trasporto di persone nel cassone del camion, tant'è che il bocia - che per fortuna ha dormito tutto il tempo - lo avevano messo in un armadio tra le coperte: uso culla). Bepi Bragheto, il capo famiglia, era già venuto in visita preparatoria alcuni mesi prima per prendere contatto con i fratelli Michele e Prospero Pavetto (Chel e Pilin Pavat) per continuare un contratto di mezzadria in sub ingresso a Marco Gobbato che avrebbe cessato a S. Martino (11 novembre) al finire dell'annata agraria. Raggiunto l'accordo veniva deciso di far stimare le scorte vive e le scorte morte, al perito edile Ramella Giovanni, per determinare la quota di ingresso nel contratto di mezzadria nell'azienda agricola dei predetti fratelli. Alcuni giorni prima della partenza la figlia Maria, che non sarebbe partita con gli altri famigliari perchè novizia presso Casa S.Bastiano di Monte Berico, aveva provveduto a far effettuare una foto di famiglia (in disaccordo con il padre che riteneva che le fotografie servono per i morti) davanti alla casa paterna che avrebbero lasciata. Alcuni giorni prima il mezzadro si trovava già a destinazione per regolare le questioni economiche ospite di Bepi Munaron (vicino di casa nel veneto) e prendeva contatti con i compaesani che lo avevano preceduto quali Bepi e Gino Pieretti, Remo Reato, Rino e Gaetan Antonini, Nani Basso, Marco Gobbato, Toni Favaro, Grazioso Negrello e Aldo Munaron. Le motivazioni che avevano determinato "l' emigrazione" non le conosco esattamente, ma credo di presumere che fossero determinate dalla recessione economica presente nelle campagne venete e dalla insufficiente disponibilità fondiaria (dopo la diaspora e la divisione avvenuta tra i fratelli del capofamiglia) a mantenere una famiglia di sette persone. Al mattino del giorno dopo (alle ore 7 e mezza del 14.11.1955) il camion rimorchio arrivava a Romano Canavese in Via Santa Maria n.7, l'inizio della "mezzadria" a Ca 'd Pavat. Ultimate le operazioni di scarico e di sistemazione degli animali e delle masserizie si veniva ospitati a pranzo a casa dei "padroni" il cui menù, preparato da Rusin (sorella di Chel e Pilin che abitava a Mercenasco) era costituito da pastina in brodo, gallina lessa e insalata (Dino ancora oggi ha in odio la pastina in brodo!). Durante il trasloco il "bocia" spariva: immediatamente partivano le ricerche fino a trovarlo che saliva sulla scala a pioli che conduceva sul solaio: da allora è diventato il "bocia danà" !!!

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