E' consuetudine nel finire di ottobre e prima dell'inizio di novembre, fare una capatina al cimitero per verificare lo stato dei luoghi e per provvedere alle eventuali sistemazioni alle tombe dei propri defunti che si rendessero necessarie, prima della ricorrenza del "giorno dei morti".
E' anche l'occasione per fare un giro per l'area cimiteriale soffermandosi a visitare le tombe e/o le lapidi di parenti, amici, paesani e conoscenti che sono passati a "miglior vita" in tempi recenti oppure lontani. Il pellegrinaggio fra le tombe, le cappelle funerarie e i loculi induce a ricordare quando è mancato il tale o il tal altro, nonché tizio o caio e quanto insieme si è percorso nella vita. Tante sono le persone che si conoscono e ti inducono a disquisire e ad "almanaccare” (se si è in compagnia) sulle parentele o le provenienze e sulle epoche nonché sulle cause del trapasso di quelli davanti a cui ci si sofferma.
Diceva "Pilin" in occasione della visita domenicale al cimitero: " cit quand che si drinta et na cugnosce tanti, a l'è parchè t’é gnu vej"
Nel cimitero di Romano, (realizzato nel lontano 1861 accorpando e ampliando il cimitero di San Solutore con quello di San Pietro) ci sono monumenti o lapidi storiche che ricordano persone o fatti che si sono svolti tanti anni fá e che solo qualcuno, avanti negli anni, conosce per note storiche o per ricordi tramandati da padre in figlio.
In particolare, al fondo del riquadro posto a sinistra entrando (dove attualmente vengono effettuate le inumazioni) c'è una lapide bifacciale di pregevole fattura (ormai praticamente illeggibile sul fronte e con evidenziati in modo precario i nomi sul verso) che ricorda il decesso di quattro persone avvenuto nel 1895.
Con l'aiuto di Toni 'd rosj (peraltro lontano parente di alcuni dei personaggi ivi ricordati) si è potuto risalire allo svolgersi dei fatti che hanno determinato il triste evento.
... Era il 16 maggio del 1895, un giovedì mattina, nella casa degli "Uteij" in canton Sortessana (meglio conosciuto come "furnass"), sul far del mattino il giovane Giuseppe Ottello ( 33 anni) decide di eseguire alcuni lavori di manutenzione al pozzo di casa: in particolare bisogna ripulire il pescante della pompa idraulica che non "pesca" più, non ché a spurgare il pozzo che si è "insabbiato" a causa del crollo delle pareti della cipolla di fondo e ripristinare il franco d'acqua necessario al pescaggio della pompa a stantuffo. La profondità del manufatto è di circa sette - otto metri per cui per eseguire i lavori è sufficiente calarsi sul fondo con l'aiuto della corda ancorata al "wuindou" e manovrata dal padre Ottello Battista (anni 58).
Raggiunto il fondo con il "ciar a petrolio", il secchio, lo zappetto e la pala a manico corto e apprestatosi ad eseguire i lavori, il giovane Ottello, ai richiami del padre che ha notato lo spegnimento del fanale, non dà più risposta.
Immediatamente il genitore immaginando che il figlio abbia avuto un malore o un mancamento, chiede immediatamente aiuto ai famigliari, i quali lo aiutano a calarsi a sua volta in aiuto al figlio che giace esanime in fondo al pozzo. Anche Battista, raggiunto il fondo, ai richiami di quelli in superficie, non dà più segni di vita. A quel punto le donne di casa in preda alla disperazione sbraitano e invocano aiuto in maniera talmente drammatica da far accorrere i vicini, in particolare i Pavetto Domenico (anni 37) e Luigi (anni 20), zio e nipote, che resisi conto dell'accaduto si calano a loro volta nella canna del pozzo e subiscono lo stesso effetto nocivo dei precedenti a cui avrebbero voluto portare soccorso.
Nel frattempo è di passaggio uno di quei mendicanti vagabondi in cerca di questua o Carità, abbastanza comuni in quell'epoca, che attirato dagli strilli, dalle preci e dagli sbraiti di disperazione dei parenti e delle persone accorse attorno al luogo della disgrazia, si frappone agli ulteriori soccorritori e li apostrofa dicendo loro che prima di ridiscendere a soccorrere i malcapitati è necessario far calare nel pozzo una fascina legata ad una corda e con quella smuovere l'aria al fine di consentire la ossigenazione dell'ambiente puteale.
La causa della morte dei proprietari di casa e dei soccorritori era dovuta alla presenza di una bolla di anidride carbonica e/o di ossido di carbonio con un tenore di ossigeno inferiore all' 8% che prima narcotizza gli sprovveduti avventori e successivamente li avvelena portandoli alla morte per asfissia.
Sul monumento in parola pertanto sono stati ricordati sul fronte in maniera enfatica gli Ottello Giuseppe e Battista, (benestanti e proprietari terrieri) e sul verso in maniera semplicistica i Pavetto Luigi e Domenico (soccorritori contadini!).
A volte l'aiuto indefesso e generosamente offerto ad altri non sempre viene adeguatamente riconosciuto!
Tant’é!!!!!