Il Cadregat.

Il Cadregat. (Il seggiolaio) All'inizio degli anni Sessanta, verso la fine di Settembre, arrivava a Romano un personaggio piuttosto obeso con al seguito un "carét" pieno di "lesca" (erba palustre - giunco) e prendeva "dimora" sotto il portico del pozzo della parrocchia (dove ora c'è l'esposizione delle pompe per spegnere il fuoco della Società Mutuo Soccorso). Era il cadregat : di nome Mario (se non ricordo male) non tanto alto, taciturno, di corporatura rotonda, faccia rubizza ornata da due bei baffoni grigi e scarpe slacciate ai piedi e "slàchera" in testa (copricapo in feltro tipico delle montagne). Arrivava a piedi presumibilmente da Rivamonte Agordino nel Bellunese ed esercitava il mestiere di seggiolaio ambulante : gran parte dei seggiolai proveniva da Rivamonte, Gosaldo e da Voltago zona di origine del mestiere del "caregheta" (cóntha nel loro dialetto). Dopo aver preso possesso dell'"abitacolo" (con il tacito consenso del Comune proprietario del sito), e preparato il giaciglio con i fasci di lesca, allestita il "laboratorio". Dal carét usciva l'armamentario necessario per vivere e per realizzare le sedie: una cassettina contenente la feratha (gli attrezzi), la càora (morsa portatile), la crath (gerla in legno per portare la paglia), il mesuròt (una riga di legno sulla quale erano indicati i punti di riferimento necessari al dimensionamento dei componenti di una sedia), la calàbria (fornello in metallo su cui si preparava il mangiare), la barelìna (piccola sedia personale che aveva anche funzione di esposizione del prodotto finito), una valigia con qualche indumento di ricambio. A quel punto incominciava la peregrinazione per il paese e per le località vicine per "sbatocià" (dar la voce " l'è rivà al cadregat " e recuperare lavoro da eseguire). In tali occasioni si poteva certe volte ascoltare di rimando il verso che i "bòcia danà" rispondevano burlando " l'è rivà l' cadreghè con le braie s'ciancà darè! ". Aveva scelto tale postazione perchè nelle vicinanze c'era una fonte d'acqua ( al brunel dal " bal " che ora non c'è più!) per bagnare la paglia: questa intrecciata serviva per fare il "còrdol" (trefolo) necessario a fare l'impagliatura (l'inpaià) e quando cominciava a stentare , se la procurava nella palude del Gurgo dopo averla preventivamente mietuta ed essicata: faceva sedie in legno di gaggia e / o di castagno leggere ma robuste oppure rifaceva l'impagliatura di altre rovinate. Il costo di una sedia intera era di 8 o 10 mila lire ( se il legno necessario era fornito dal cliente il prezzo diminuiva di circa 2 mila lire ), mentre una nuova impagliatura era di 3 o 5 mila lire.Ricordo che, quando impagliava, il cadregat assumeva una posizione sbracata in cui si poteva notare i pantaloni tenuti sù con una corda e la pancia che fuoriusciva dalla camicia: tutto sommato era un personaggio burbero ma simpatico ! Ho avuto modo di apprezzarne il mestiere quando si è stabilito in paese "Guerrino" : in gioventù anch'esso caregheta ma che esercitava nel romagnolo e nel marchigiano fino all'abruzzese. Da lui ho imparato a conoscere (non a praticare) le tecniche di lavoro e lo "scapelamént del cóntha" (linguaggio segreto dei seggiolai che permetteva loro di comunicare verbalmente, senza farsi capire dagli altri). Dopo essere andato in pensione e fino a quando ha potuto ha continuato a costruire e impagliare sedie per i vecchi clienti. Nelle lunghe chiacchierate a casa sua, davanti ad un "bossol de sborf" (un bicchier di vino) mi raccontava aneddoti del suo peregrinare e di compaesani, che come lui erano immigrati a Romano e dintorni: i Bressan, i Masoch, i Chiea, tutti ex seggiolai di Gosaldo ivi arrivati al seguito delle ditte venete che costruirono l'autostrada Torino - Quincinetto e successivamente l'Olivetti di Scarmagno (l'Itinera e la Galtarossa). N.B. le informazioni sul mestiere nonchè i termini dialettali citati sono da attribuirsi a Guerrino Maschio detto "Guera" che ci ha salutato prematuramente alcuni anni or sono.

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