Al lat a barachin!

Al lat a barachin! (Il latte a scodelle) "In illo tempore" il latte veniva fornito dai contadini allevatori direttamente dalla stalla al consumatore in contenitori i più svariati: bottiglie, bottiglioni, barattoli in alluminio o di plastica (il barachin) ai quali veniva applicato un contrassegno per poterli più facilmente riconoscere. Il latte proveniente dalla mungitura della sera era messo a disposizione dell'utente nei predetti contenitori della capacità di uno o due litri (...eut ettu a tuit, nov ettu a quai d' un, an chilo a gnun!!!) appoggiato o appeso ad una mensola e/o su una panca poste in prossimità del portone di ingresso normalmente verso le sette di sera; c'era chi veniva con una pentola per cui il latte gli veniva misurato con "la misura": tutto questo nel rispetto dei tempi dettati dalle operazioni di mungitura e dai lavori di preparazione e sistemazione della stalla. A Cà ad Pavat, la stalla aveva una funzione molto importante nella conduzione dell'attività dell'azienda agricola dei fratelli Pavetto (Chel e Pilin): era condotta a mezzadria ed era sita dove adesso sono state costruite le case popolari di via S. Maria. Il contratto di mezzadria prevedeva (1955) l'apporto della mano d'opera da parte del mezzadro e della sua famiglia e la fornitura dei beni mobili ed immobili da parte del padrone: la ripartizione degli utili veniva suddiviso per 2/3 al mezzadro ed per 1/3 al padrone ( a condizione che il mezzadro avesse contribuito col 50% delle scorte vive - la dotazione della stalla, del maiale e del pollame da cortile - e delle scorte morte - fieno, paglia, sementi ). La stalla (invece partecipava agli utili al 50% fra i contraenti) era posizionata nel lato nord-ovest del complesso dei fabbricati aziendali: era composta da due locali: uno più grande destinato alla stabulazione dei bovini adulti ed un'altra adiacente destinata allo svezzamento dei vitelli e al ricovero del toro che poteva essere utilizzato per la "monta". Il parco animale in origine (1955) era costituito da n. 2 vacche da tiro (di razza piemontese) e da n. 2 vacche da latte (di razza Rendenna), poi in proseguo veniva incrementato fino a 5 vacche da tiro (due coppie più una di scorta), due da latte, un toro di razza wit (pezzata nera) e da alcuni vitelli: questi ultimi non tutti di produzione propria ma alcuni presi al "cras" : ossia veniva conferito un vitello di pochi giorni dal commerciante di bestiame solito - Ernesto 'd Masnasch oppure da un altro d'Ivrea (di cui non ricordo più il nome!) - che veniva ingrassato con il latte in eccesso prodotto dalle vacche lattifere e poi restituito allo stesso previo un compenso precedentemente pattuito. Ogni vacca aveva il proprio nome: "il falco" (alta, brutta ma potente - partoriva sempre un "bucin fassun") "la pastura" (pesante e più tranquilla, anch'essa "fassunera"), "la bracca" (anch'essa pesante e tranquilla) "la bianca" e "la bela" (il jolly) quasi tutte di " forma". c'erano poi "la bruna", "la gaia" ed il toro "bimbo" (era talmente grande che per uscire dalla stalla strusciava sempre la gobba - magari era solo la mia impressione di "buciass" che all'occorrenza lo conducevo per mano al "servizio": mi seguiva come un cagnolino!). I lavori in stalla cominciavano alle sei e mezza (cinque d'estate) della mattina con il somministrare il fieno, levare il letame, il suo trasporto alla concimaia, la mungitura, l'allattamento dei vitelli, il conferimento del latte al "casaro" (Greco di strambino) il rifacimento della lettiera e la somministrazione della eventuale "pitansa" alle partorienti e/o a quelle destinate al lavoro e le pulizie d'ordinanza. Stesso discorso alle sei e mezzo - sette della sera (mattino e sera per 360 giorni all'anno). La stalla era anche un posto di ritrovo e di soggiorno ( fra le due guerre ), soprattutto dopo cena e d'inverno, per cui veniva sempre tenuta spazzata e pulita: verso la metà di novembre, Pilin con l'aiuto del figlio più grande del mezzadro, preparava "la barlecia" ossia un tavolato rialzato rivestito con la "paiaśa" ( un saccone di tela riempito di paglia e/o di fieno) posto in un angolo del locale più grande e le cui pareti erano rivestite da uno strato di "sčiurciun" di paglia di biava alfine di isolare la condensa che si sarebbe formata sui muri: era il salotto d'inverno "riscaldato" dove i convenuti si scambiavano le notizie più recenti e/o le dicerie, i pettegolezzi, i si dice, e storie, storielle, (magari burlesche), per la curiosità delle donne di casa e per la gioia dei "gagnu" che pendevano dalle labbra degli adulti. Se fuori nevicava: era il massimo!!!

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