Fino alla prima metà del Novecento, nelle campagne piemontesi era assai diffuso l'allevamento del baco da seta. Ciò perchè il grande sviluppo registrato dall'industria tessile nella parte finale del XIX secolo aveva reso possibile realizzare ottimi guadagni sulla vendita di bozzoli alle filande. Negli anni Venti e Trenta del Novecento, poi, il fascismo intervenne con significativi incentivi per la bachicoltura e ciò fece sì che in quel periodo l'attività raggiungesse il momento di massima diffusione.
I bachi si allevavano di norma nei sottotetti delle cascine e delle case borghesi su lettiere a castello ("bigatere", i bachi erano detti "bigat"). Un bellissimo esempio di questo locale è ancora visibile a Romano nel sottotetto del palazzo delle "Toterine" (in origine palazzo Pavetti, poi Caligaris e ora Lorenzon) in canton della Rua). È pavimentato in cotto e intonacato fino all'intradosso con il solaio in legno, le finestre sono dotate di infissi e lungo le pareti sono presenti alcuni caminetti per il riscaldamento.
Questa attività era possibile solo in pianura perchè richiedeva la disponibilità di grandi spazi, e soprattutto perchè per il nutrimento di questi bruchi era necessaria la foglia del gelso, pianta che cresce soltanto a bassa quota.
Il ciclo del baco da seta iniziava a primavera, quando si acquistavano le uova. Queste venivano comprate a "once", poiché un'oncia rendeva circa un quintale di seta.
Le uova venivano conservate in locali caldi (stalle o cucine) vicino alle stufe fino a quando non schiudevano. Alla schiusa delle larve, queste erano poste su graticci (stagere) cosparsi di foglie di gelso triturate.
Nei primi quattro o cinque giorni di vita delle larve, il nutrimento doveva essere rinnovato otto volte a giorno. A questo punto avveniva la prima delle quattro mute che il baco avrebbe compiuto durante la sua breve vita. Dopo la fuoriuscita della prima pelle, la larva rimaneva un'intera giornata senza mangiare, poi si riprendeva ad alimentarla.
Come detto le età del baco sono cinque (ovvero quattro mute) e, raggiunto l'ultimo stadio, i bruchi andavano ancora nutriti per sette giorni con ben 150 - 170 chili di foglie di gelso giornaliere per ogni oncia. In questo periodo quintuplicavano il loro peso: ogni "filugello" (ossia la larva originale) cioè passava da uno a cinque grammi.
Raggiunta questa dimensione, il baco saliva su un "bosco" costituito da frasche di ginestra o di saggina e cominciava a filare: ossia a chiudersi nel suo bozzolo, dove sarebbe diventato prima crisalide e poi farfalla. A questo punto si raccoglievano i bozzoli (prima dello sfarfallamento ossia la fuoriuscita della farfalla), perchè li avrebbe bucati con grave danno al filo di cui erano avvolti, ripuliti, selezionati e consegnati ai commercianti che avrebbero provveduto a portarli in filanda. Ogni bozzolo poteva fornire una quantità di filo compresa fra i 300 e i 1550 metri.
Per non sottrarre spazio alle colture agrarie, i gelsi utilizzati per l’allevamento dei bachi erano disposti al limitare dei campi (l'accessoria funzione di stabilire il confine fra le proprietà) o lungo le strade vicinali o interpoderali. A Romano nè esistevano un pò dappertutto: nella regione Moretti (che ha mutuato il nome da Murun - Murunit - Murit), nelle campagne a sud e a nord del paese quasi ogni campo aveva un gelso o un noce in "tistera", lungo le strade comunali di Vialta, di Castlat, di Croce di castello o in appezzamenti a loro completamente destinati (Murunera di brià e murunera 'd Bianchin in regione "cassin-na dal ghè").