Il granoturco o mais ("mahiz" lo chiama Colombo, mutuando il termine imparato dagli indigeni dell'isola di Hispaniola) pare essere arrivato in Europa poco dopo la scoperta dell'America. Furono poi con ogni probabilità i veneziani - attraverso i traffici che tenevano soprattutto con l'Oriente - a farlo conoscere ovunque.
L'uso alimentare del mais è pressoché identico ovunque: si riduce in farina e si impasta in forme simili a piadine (tortillas piadine o miasse) o si fa cuocere la farina gialla in acqua o brodo, vi si aggiunge alla fine, burro, latte, formaggio, sughi e/o carne. In Italia e sulle Alpi, dove per altro il granoturco non può essere coltivato perchè non cresce oltre gli 800 metri di quota, la farina di mais si utilizza soprattutto per fare la "polenta". Tipica di tutto il nord italia, e soprattutto dell'area subalpina, la polenta ha rappresentato per decenni l'alimento base del contadino: consumata con latte o formaggio, infatti forniva un apporto proteico sufficiente non solo a sopravvivere, ma anche a sostenere il duro lavoro dei campi.
Per preparare la polenta secondo la ricetta tradizionale bastava avere un paiolo e un bastone di legno lungo circa un metro. Il paiolo, fatto in rame stagnato all'interno, disponeva di un manico curvo che consentiva di appenderlo alla catena del camino a diretto contatto con il fuoco. Quando l'acqua salata nel paiolo bolliva, si rovesciava a pioggia la farina di mais, iniziando a rimestare con forza il bastone, che rispetto al tradizionale cucchiaio di legno, offriva il vantaggio di essere più lungo, permettendo di girare da in piedi e di non opporre resistenza nel rimescolamento), fino a quando la polenta non risultava densa a sufficienza. Il tutto richiedeva un tempo di cottura di circa un’ora e mezzo (in base alla consistenza desiderata).
La parola polenta conserva la sua origine latina, "puls" plurare " pultes": anche i Romani, infatti, facevano la polenta, ma la loro era fatta con il farro, un cereale più grosso e duro del comune frumento e non offriva la consistenza di quella di farina gialla.
La polenta di granoturco, poi, risolse i molti problemi alimentari delle popolazioni povere, fino a quando - nella metà del XVIII secolo - non apparve la pellagra, causata, si pensa, dall'eccessivo consumo proprio di questo alimento. Nelle vallate alpine non sempre si ricorreva alla farina di mais: talora anche dopo la sua scoperta, sulle tavole contadine, la polenta era realizzata con il grano saraceno e ne risultava un composto di colore grigiastro.
A partire dagli anni Sessanta del Novecento, con il mutare delle abitudini alimentari, il consumo di polenta si è ridotto in modo drastico e in parallelo con questo anche la pratica di seminare i mais tradizionali per produrla. Le farine industriali hanno iniziato a soppiantare quelle tradizionali e anche il sapore della polenta realizzata con differenti qualità di mais macinato a macchina, per forza di cose, è mutato.
L'inserimento della polenta fra i cibi tradizionali è testimoniato da questa canzone popolare:
" La polenta, bionda o scura,
ch'a sia mòla, o ch'a sia dura,
a l'è 'n piat për tuti ij gust.
A la mangio, le madame,
par avej le panse slame e për strense 'n pòch pì 'l bust.
Noi mangioma për deje 'na buva
pulenta e fondua, polenta e mëerluss,
e jë sgnur ch'a së stermo 'n famija
a la mangio condija, con mac l'aria dl'uss.
La barbera, 'n po' vejòta,
fa stè alegher fa stè 'n piota fa passè tuti ij magon.
Bèive bèive, sempre bèive, finchè 'l prèive'l moment bon dará 'l përdon.
Noi mangiuma për deije 'na buva ecc.
Coj ca giro, a Pòrta-Neuva, col capel a parapieuva o con n'andi da gamel,
mangio mach polenta a fëtte, ma son pijà 'nt le fëtte fin-na a la ponta dël servel.
Noi mongioma për deije 'na buva ecc. "
(Trad.: La polenta bionda o scura / che sia molle che sia dura / è un piatto per tutti i gusti./ La mangiano le signore / per aver le pance lisce e poter stringere un poco il busto / Noi mangiamo per poter bere / polenta e fonduta, polenta e merluzzo / e i signori che si nascondono in famiglia / la mangiano condita solo con l'aria dell'uscio / La barbera un pò vecchia / fa stare allegro, fa stare in gamba, fa passare tutte le pene. / Bere, bere, sempre bere / fino a quando il prete, al momento buono, darà il perdono. Quelli che girano a Porta Nuova / con il cappello e l'ombrello e con un'andatura da cammello / mangiano solo polenta a fette / ma sono proprio stupidi fino alla punta del cervello. Noi mangiamo per poter bere ecc. ecc.)
La geografia dell'ambiente di coltivazione del mais fu assolutamente sovrapponibile con la diffusione della "pellagra" che provocò molteplici morti nel settentrione d'Italia.
La pellagra iniziò a manifestarsi negli ultimi decenni del Settecento e si mantenne tale per tutto il secolo successivo comportando una continua riduzione delle colture del grano, che veniva escluso dall'alimentazione dei contadini (mezzadri e affittuari), ma utilizzato per pagare i debiti.
Viene definita pellagra una malattia non infettiva causata dalla carenza o dal mancato assorbimento di vitamine del gruppo B, nicina (vitamina PP); questa vitamina si trova nei prodotti freschi: molte verdure, latte, diversi cereali. Interessava principalmente persone con una alimentazione fortemente squilibrata e aggravata da fattori, come disturbi gastrointestinali o alcolismo cronici, capaci di interferire con l'assorbimento e l'assimilazione della vitamina.
Il termine pellagra deriva dai dialetti lombardo-veneti, per indicare la caratteristica pelle ruvida causata dalla malattia.
Fu poi sconfitta, non senza difficoltà, nella seconda metà del XX secolo.