La Cena di Natale

All'inizio degli anni '60, il don G. Preverino da Locana veniva assegnato come viceparroco a Romano in sostituzione di don Domenico Ottino assegnato come pievano a Settimo Rottaro.

Il nuovo "vice", fra le prime cose da realizzare nel suo mandato pastorale, poneva l'istituzione dell'oratorio parrocchiale coinvolgendo poco per volta i giovani del paese.

Fra mille difficoltá iniziali e la diffidenza del prevosto restio a modificare lo "status quo" e piuttosto allergico alle novità sulla postorale giovanile promosse dal "concilio" e in corso di adozione dalla emergente classe sacerdotale, riusciva a dare corpo al suo progetto.

Dopo aver recuperato alcuni ambienti adiacenti al salone parrocchiale adibito a teatro, li destinò a bar con tavoli da ping pong, calcio balilla, bigliardino e televisore in alternativa ai più secolare "Dopo, Ravetto e Martin". Nel giro di poco tempo riuscì a coinvolgere nelle iniziative parrocchiali la quasi totalità della popolazione giovanile "maschile" compresa fra i diciotto-ventanni ed i ragazzini delle elementari, in quanto quella femminile restava di prerogativa delle suore dell'asilo. Organizzava gite turistiche, gare di carte, calciobalilla, ping pong, cacce al tesoro, scampagnate, si poteva giocare a pallone nel cortile della parrocchia, assistere a proiezioni di film nel salone del teatro, nonchè a rappresentazioni teatrali eseguite dalla compagnia da lui organizzata e con talvolta l'accompagnamento musicale dell'organista "Pidrin Bartùn".

Dopo la fine di manifestazioni religiose e/o festivitá civili era solito organizzare per i partecipanti dei rinfreschi, delle merende sinoire o delle vere e proprie cene da consumarsi nei locali oratoriani.

Era tradizione a Natale, dopo la messa di mezzanotte, organizzare la cena di Natale in ringraziamento della buona riuscita delle attivitá realizzare durante l'anno e cogliendo l'occasione per scambiarsi gli auguri natalizi.

Se non vado errato era il Natale del '63 e a quella cena erano invitati i giovani (chi più chi meno) che avevano svolto le più svariate attività legate all' ambito Oratoriano fra i quali era compreso anche il "bocia danà" in qualità di "sicristin". Come tradizione la cena era a base di "polenta e levra in civet"  piatto tipicamente piemontese e stagionale  di fine attività venatoria: il bocia danà aveva subito declinato l'invito in quanto aveva saputo  dai vecchi del paese che era tradizione ancestrale mangiare a natale "il gatto"  per cui  non aveva alcuna intenzione di mangiarlo benchè originario di una provincia conosciuta come "vicentini magnagati" : il "vice" e alcuni altri giovani più anziani riuscirono a rassicurarlo e a convincerlo a partecipare spiegandogli che se non era tutta lepre avrebbe potuto esserci del coniglio a completare il piatto, ma assolutamente non era previsto l'utilizzo del felino in quanto tradizione antica e ormai desueta.

Ne seguì una bellissima e allegra serata in ottima compagnia in cui venne consumata un'ottima cena a cui fu da tutti fatto onore; giunti alla frutta da un punto imprecisato della sala cominciò ad eccheggiare un sommesso miagolio che risalendo piano piano lungo la tavolata fece drizzare le orecchie al bocia (grande fu lo sbigottimento e il rammarico) che reprimendo un instintivo moto di nausea sospirò "me l'hanno fatta"! ... ma poi, fra le risate e le canzonature degli altri commensali venuti a conoscenza dei presupposti, fece buon viso a cattivo sangue e si arrischiò a filosofare: 

"mi lun mangià par levra ma sa l'era gat a l'era propi bun ".

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