Lo speo.
( Lo spiedo)
Verso la fine dell'autunno e dopo la fine dei lavori in cantina con la chiusura delle botti con il vino nuovo, e prima di iniziare i lavori di disboscamento delle "coste" per far la legna necessaria alla formazione del nuovo "ligner" per il riscaldamento dell'anno che verrà, c'è un periodo di rilassatezza che aleggia nelle case contadine.
I giorni si fanno sempre più corti e al calar del sole prima che la bruma avvolga sempre più densa le case, i campi, le vigne e le forre, si vedono gli uccellini svolazzare a frotte in cerca dei posatoi abituali per trascorrere la notte.
Al ritorno dai lavori nei campi e prima di rincasare alcuni tipi intabarrati e dal fare sfuggente, in quel periodo, praticavano un attento "spionaggio" vagante per scoprire i posatoi più frequentati: non è difficile individuarli dall' allegro cicaleggio che i volatli eseguono prima del calar della notte.
Memorizzati i siti accessibili e più promettenti, dopo cena al "dopo" e alla fine della partita di cinquiglio, la " banda dei veneti" si scambiava i risultati delle loro osservazioni e a stabilire i tempi ed i modi necessari a procurarare la materia prima per la preparazione del piatto, tipico per autonomasia, dei veneti: "poenta e osei" !!!
Raggiunta una ragionevole possibilità di cattura decidono il calendario delle sortite notturne per acquisire più prede possibili, i "bracconieri" (perchè di fatto di bracconaggio si trattava!) si davano appuntamento ad un dopo cena nella stalla d'la cà ëd Pavat, per preparare ed eventualmente riparare le eventuali smagliature delle varie "ree e perteghe" (reti e pertiche) necessarie ad effettuare le catture dei volatili.
Si parla degli anni '50 quando questo tipo di attività venatoria era ancora tollerata e la comunità veneta emigrata a Romano era abbastanza coesa e partecipava ai riti retaggio del paese d'origine con una frequentazione costante e persistente.
La banda (più eufemisticamente "compagnia") era composta dai fratelli Piereti (Bepi e Gino), da Bepi Munaro, da Rino la guardia e suo fratello Gaetan, da Remo Reato, da Bruno Mozzo, da Juani e Franco fijeui dël masuer, da Nani Oca e da Paulin dl'Esterina: praticamente i frequentatori del tavolo del "cinquilio" (un tresette giocato in cinque e a volte in sei: in questo caso uno a turno saltava la mano).
Stabilite le serate di cattura i "bracconieri" (in gruppi di 3 o 4 al massimo) partivano furtivamente dopo cena e sparivano come ombre nella notte: nel buio più totale e con la brina in formazione armati di reti, pertiche e fanali a carburo ( o pile ) battevano i fienili delle case contadine (dove gli era permesso), i filari dei cipressi dei cimiteri, gli alberi sempreverdi in prossimità delle case e quelli coperti dal brasabosc, i canneti e quanto altro avrebbe potuto ospitare colonie di volatili. Le specie predate erano passeri, merli, storni, tordi, cesene, verdoni, pispole, beccafichi, fringuelli, tortore e quanto altro capitava nella rete.
L'operazione di cattura consisteva nel distendere la rete, sorretta da due pertiche, davanti al fronte del fienile o del pagliaio o nell'avvolgere la pianta (magari con due reti) e poi percuotere gli stessi con un'altra pertica al fine di far fuggire i volatili che si insaccavano nella rete: per ogni battuta se ne uccellavano anche quindici o venti.
A fine spedizione facevano ritorno a casa del masuer per conferire il frutto della predazione venatoria (cinquanta - sessanta zeleghe normalmente per volta), che con gli scontati brontoloii di Bepi bragheto ( .. ma era solo apparenza perchè aveva un culto per lo "speo" che rasentava l'ossessione ..), venivano "stermati" nei cassetti del tavolo vecchio sito nella cusinassa: al freddo e perchè frollassero qualche giorno. Raggiunta la quota necessaria (circa centocinquanta volatili) veniva sospeso il "prelievo selettivo" (... è un eufemismo!) della specie avicola!!!! ... fino al successivo speo!
Nelle serate successive i "celebranti" della "leccornia culinaria" si ritrovavano
nel tepore della stalla per spiumare le catture e per prepararli alla cottura tra le chiacchere dei presenti e le facezie che venivano raccontate dai più burloni accompagnate, senza alcun dubbio, da non infrequenti libagioni: non tanto per la fatica ma anche per il "susto" di participare alla mangiata che metteva una ... arsura tale ... da svuotare il bottiglione!!!
Di solito la cena della "poenta e osei" avveniva la sera del sabato per cui papà Bepi dopo pranzo si metteva di buona lena a preparare gli spiedi da mettere sul girarrosto infilando sullo schidione una fettina di lardo, volatile, una fettina di lardo, una foglia di salvia, una fettina di lardo, un volatile, una foglia di salvia .. e così via fino a riempire la bacchetta. Qualora i volatili non fossero in quantità sufficiente (a cena partecipavano una quindicina di persone a volte venti) si sopperiva con l'aggiunta di pezzi di faraona, tocchetti di maiale e "osei scampai" (ossia involtini di fegato avvolti in fette di pancetta).
Mamma Santina aveva già preparato per tempo la polenta affinchè una volta fredda fosse pronta per essere messa a "sfritegare" (rosolare) nella leccarda posta sotto agli spiedi rotolanti e resa "poenta onta". La cottura avveniva nel camino della cusinassa e occorreva una durata di circa quattro o cinque ore in base alla quantità di carni da cuocere: dopo aver acceso il fuoco per tempo e aver approntate le "bronze" ( la brosa o braci) veniva sistemato il girarrosto sul bordo del "fogoearo" (camino) che con pazienza e tenacia veniva accudito e manovrato dal masuer il quale non ammetteva interferenze di sorta: era assolutamente una sua prerogativa. Con una penna d'oca o di una remigante di corvo la intingieva nel "pocio" (l'intingolo che gocciolava nella leccarda) e spennellava, di tanto in tanto, gli osei che giravano sfrigolando al calore delle braci.
Alle otto di sera si alzava il sipario e aveva inizio la celebrazione del rito enogastronomico più antico e tipico del veneto, paragonabile al rito piemontese del "fritto misto".
Nel processo di esecuzione del delizioso piatto etnico, il "bocia danà" partecipava solamente alla fase mangiatoria in quanto in età ancora infantile: ma con ... "mucio gusto" !!!!
Ora resta solo ... un nostalgico ricordo !