L' asilo
L' asilo. Il 4 aprile del 1956, con i lacrimoni agli occhi, il cestino di vimini in una mano e l'altra in quella di mamma Santina, il "bocia danà" faceva ingresso all' Asilo Infantile di Romano Canavese. Considerato che non aveva ancora tre anni, come sia stato possibile non si sa esattamente, ma si presume (da considerazioni a posteriori) che ci fosse stato un particolare interessamento di Chel Pavat, che in quell' epoca era consigliere comunale di minoranza, con il Prevosto Don Monti che era presidente dell'Ente Asilo. Bisogna sapere che Chel e suo fratello Pilin erano socialisti matteottiani e mangiapreti dichiarati, ma di una rettitudine e di un rispetto eccezionali. Ricordo che quando il "bocia danà" cominciò a servir messa nel '61 chiese a Chel perché non andava mai in chiesa. E questo gli rispondeva che "non sopportava il profumo dell'incenso". Al che il bocia gli ribadiva che l'incenso c'era solo qualche volta! Chel allora, di rimando, concludeva che era "l'odore della cera" che gli dava fastidio e ancora: “cit, fà che 'n abbie!!!”. Ritornando al suo essere "mangiapreti" ricordo che il Prevosto (un omone grande e grosso che faceva soggezione al solo guardarlo e che nell' ambito del paese "non muove foglia che don Monti non voglia!"), benchè politicamente totalmente in antitesi ufficialmente, quando c'era da prendere qualche decisione importante per il paese, di notte e "ad nascundiun", provvedeva a consultarlo preventivamente in maniera da appianare le eventuali divergenze e non far fare baruffe in consiglio comunale (un attuale preconsiglio!!!). Tutto ciò premesso e considerato, bisogna ritornare al fatidico ingresso all'asilo: si entrava dal portone spalancato in cima alla salita e si veniva ricevuti da suor Prisca, la maestra, da suor Regina, la superiora, e da suor Valeria, la tutto fare: suore di carità di S. Giovanna Antida. Si veniva affidati alle predette (sante) suore e aggregati agli altri "gorba" che già frequentavano per potersi ambientare e fare conoscenza. Il bocia danà, essendo il più piccolo, era trattato con più attenzione, ma con fermezza, in quanto, benchè piagnucolante, era sempre pronto a fare " la fuitina". Dopo le preghiere di rito iniziavano le attività, i giochi e quanto altro inerente alla funzione di scuola materna. L'Asilo era un palazzo composto da due stanzoni al piano terreno, da una cucina, dalla sala pranzo delle suore e da un bagno; lo stanzone adiacente alla cucina serviva da refettorio arredato da quattro tavoli e da panchine, mentre l'altro da sala giochi. Al primo piano, a cui si accedeva mediante uno scalone aperto sull'atrio, c'erano altri due stanzoni adibiti uno ad aula scolastica e l'altra a dormitorio per i più piccoli (i più grandi dormivano sul banco di scuola con un cuscino portato da casa), una cappella, un locale a servizi igienici in corrispondenza del portone e ad altri locali destinati alle suore. Dal salone dormitorio si accedeva ad un doppio porticato e al giardino che si prolungava a sud- est in discesa fino alla chiesa di S. Marta. A lato del giardino, verso est nella parte alta trovavano posto il recinto delle galline ed il vigneto lungo il muro di recinzione a nord ed a est. Esiste ancora il pollaio addossato attualmente alla C.T., mentre la vigna è stata abbandonata negli anni '60 così come il pollaio: come le galline erano buone per far le uova, diventavano oggetto di razzia da parte di "ladri poveracci" che non si rendevano conto di far mancare il sostentamento alle suore che vivevano anche di carità da parte della popolazione. La gente non mancava di far atti di donazione a queste donne che si prodigavano incessantemente per i bambini del paese: c'era chi curava la vigna, chi dava una mano nell'orto, chi falciava il prato, chi procurava la meliga per le galline, chi portava beni alimentari e quanto altro necessario al buon andamento della scuola. Il mezzadro, quando macellava il maiale predisponeva le "onoranze" (un'abitudine mutuata dal Veneto), ossia un donativo costituito da qualche braciola o da sparagagne o da luganeghe o ferse o quanto altro alle "autorità" del paese: dottore, veterinario, farmacista, maestra, prete e asilo. A pranzo, sui tavoli di color verde chiaro, veniva servita una minestra o una pastasciutta in scodelle di acciaio che si adattavano ai buchi ivi praticati, il pane ed il companatico che ognuno portava da casa: le
buone suore, in particolare suor Valeria, provvedevano - segretamente - a ispezionare i "cavagnin" e a distribuire il di più a chi ne aveva meno (mamma Santina, assidua frequentatrice della chiesa, che era a conoscenza di questa buona usanza, metteva sempre quel qualcosa di più che poteva essere diviso). A merenda veniva offerto un frutto di stagione o un "fruttino". Ricordo che in qualche occasione, a pranzo, veniva servito una mezza fetta di un formaggio arancione contenuto in un barattolo metallico che, ho scoperto più tardi, faceva parte delle dotazioni UMRA (Piano Marshall). Ogni bambino era dotato di un grembiulino a quadrettini azzurro (per i maschi) e rosa (per le femmine), nonchè di una mantellina nera per i più grandi che dovevano partecipare al corteo funebre in occasione dei funerali. A proposito di fuitine "il bocia danà" ne ha fatte più di una e per la disperazione di suor Valeria, piccolina, con il labbro inferiore spaccato, giusta ma tremenda: quando ti beccava per qualche marachella era sicura la tirata d'orecchi e l'epiteto "fariseo". Per tal motivo era un sorvegliato speciale. Neta ad Talap e Tugneta dij Pei, due nonnine che abitavano, una di fronte all'altra, al fondo della salita all'Asilo, erano le segrete controllore! Ma di questo vi racconterò un'altra volta!!! Il bocia danà: sarà lui? ... mah!!!