17 Gennaio
È il giorno in cui si festeggia e si festeggiava San Antonio Abate, protettore degli animali e dei cavallanti, e nel quale (una volta!) dopo la Santa Messa il prevosto benediva i cavalli e le bestie da traino (ora sostituite dai trattori) schierati sul sagrato della chiesa. In quasi tutte le case dei contadini, sulla porta della stalla o in prossimità della stessa, era inchiodata l'immagine del santo. La ricorrenza veniva curata da due priori e fino a metà degli anni Sessanta erano di solito degli addetti ai lavori: contadini, autisti, conducenti o carrettieri, e i festaioli (rigorosamente di sesso maschile!) che "onoravano" il santo erano all'incirca quaranta o cinquanta. Poi, con lo spopolamento delle campagne e l'avvento dell'industria, i nominati provenivano dalle più varie categorie lavorative per cui coloro che aderivano (soprattutto al pranzo) aumentarono in maniera esponenziale fino ad arrivare a 250 circa negli anni Settanta, quando venne aperta ad entrambi i sessi! Il pranzo avveniva prevalentemente al Circolo oppure da Ravetto. I priori oltre all'obbligo di adornare la chiesa e organizzare la funzione religiosa, avevano il compito di ricercare i nuovi priori e di invitare a partecipare al pranzo il maggior numero di persone possibili. Era questa un’ incombenza divertente e perigliosa: i priori, in coppia o singolarmente, a partire dall'inizio di Dicembre, si recavano casa per casa da amici, parenti e conoscenti a sollecitare la loro partecipazione al pranzo per cui, tra una chiacchera e l'altra e tra un bevi tu che bevo anch'io, la serata diventava lunga e ... faticosa!!! Il pranzo era l'appuntamento annuale per lo scambio di notizie, esperienze, novità, pettegolezzi e quanto altro possa sollecitare ed emergere in tali gioviali e (sovente) "spiritosi" raduni: era l'occasione giusta - specialmente nel dopo pranzo e per i burloni - per proseguire le libagioni con il raccontare altri aneddoti e "fularade", soprattutto ai più giovani, che le bevevano a tutta birra. Gli artefici di tali performance erano Culeto, Cheto, Luisin Maina, al Bisot, Tunin 'd Ramela, Pinot 'dla Caneuva ed altri che ora non mi sovvengono. Al Bisot in particolare ti spiegava perchè lavorasse i suoi campi con solchi serpeggianti: per ottenerli più lunghi e trarre maggior resa! Culeto lo spalleggiava: la questione era matematica, come capire le lune. Non era forse lui che sapeva fare i conti senza usare il “criun”? Persino per sapere quanti del mese ne abbiamo oggi - raccontava - era una questione aritmetica: si somma il numero dei giorni di ieri con quanti ne abbiamo domani, si divide per due, e cosa ne viene fuori sono i giorni che abbiamo oggi: c'era chi abboccava e "ëd nascundiun" provava a fare il conto! ... e: "Cul diau ëd Culetu a l'avìa propi rasun". Cheto invece spiegava che aveva trovato il sistema per eliminare i topi che mangiavano le "gran-ne ëd meria" nel solco appena seminato: siccome il topo quando prende la fila dei semi tira sempre diritto, per cui basta interrare a filo terra un secchio colmo d' acqua per cui il ladro, proseguendo a testa bassa, ci finisce dentro e annega. C'è un problema però: ogni due o tre giorni bisogna andare a vuotare il secchio, perché, essendo pieno, i topi riescono a scavalcarlo! Oppure per fregare i fagiani basta mettere uno specchio di traverso al solco della meliga: il fagiano quando prendeva la fila anche lui proseguiva diritto fino ad arrivare davanti allo specchio, alzava lo sguardo e vedendo che ce n'era già un altro di fronte, si voltava e tornava indietro! ... e, se ci credete a queste, ve ne racconto un'altra!!!